Alimentazione – La dieta paradossale

Fa che il cibo sia la tua medicina e cha la medicina sia il tuo cibo. Ippocrate

Per quanto riguarda la terapia dei disturbi alimentari, in terapia breve strategica evoluta, la dieta ritenuta migliore è quella che definiamo “Dieta Paradossale”. Consiste nel prescrivere al paziente di selezionare i cibi da lui ritenuti più buoni e di mangiare solo quelli con l’unica limitazione di assumerli solamente tra volte al giorno a colazione, pranzo e cena: i tradizionali 3 pasti canonici. Questo perché è sotto gli occhi di tutti che le diete restrittive fanno ingrassare. A questa conclusione è arrivata anche l’American Psychiatric Association, che nel constatare come tutti gli americani obesi fossero a dieta ha concluso che è la dieta che li fa ingrassare. Come si spiega? Tutte le diete restrittive fanno perdere peso ovviamente; il problema quale è? Che una volta che si passa al mantenimento si prendono tutti i chili persi con gli interessi. E’ la dichiarazione di tutti quelli che hanno fatto una dieta o più di una dieta. Oltretutto il controllo fa perdere il controllo per cui le persone sovrappeso, restringono ai pasti e sgarrano fuori pasto. Con un errore di interpunzione,pensano: “siccome che ho mangiato fuori pasto, restringo ai pasti”. Così senza rendersene conto stanno preparando la successiva abbuffata fuori pasto, magari nella notte o a metà mattinata o nel pomeriggio. Se facciamo l’interpunzione corretta, più opportunamente possiamo dire che siccome il magro si permette la quantità e la qualità ai pasti, può avere il controllo dell’alimentazione fuori dai pasti, mentre il “ciccione” controllando in maniera rigida i pasti perde il controllo fuori pasto. Se me lo concedo posso rinunciarvi se non me lo concedo sarà irrinunciabile. Se mi concedo il piacere del cibo posso rinunciare a quel piacere, se non me lo concedo ne perderò il controllo. La stessa quantità di cibo mangiata solo ai pasti fa dimagrire, mangiata fuori pasto fa ingrassare. E’ sotto gli occhi di tutti, basta andare in una qualunque mensa o self service: i magri mangiano moltissimo ai pasti e felicemente, mentre i grassi tristemente restringono. Come è possibile questo? Il nostro intestino è un organo intelligente; se gli diamo la regolarità fa il conteggio preciso delle molecole che gli servono per mantenerci in vita, eliminando quelle in eccesso, se non gli diamo regolarità perde il conto. Ma non solo, se i cibi sono di nostro gradimento il nostro cervello, sede della nostra mente, reagirà al piacere secernendo neurotrasmettitori, e segnatamente endorfine, che attraverso l’asse neuro-ormonale ipotalamo-ipofisi-tiroide attiverà il metabolismo, accelerandolo attraverso il sistema enzimatico e attivando la digestione e la dismissione delle molecole in eccesso; al contrario se non sarà piacevolmente stimolato farà esattamente il contrario, rallentando tutti i processi metabolici e favorendo l’accumulo di molecole e quindi di grasso dove meno lo desideriamo: i fianchi.

 

Il Nostro Cervello

C’è un altro meccanismo di cui dobbiamo tenere conto. La nostra società si è molto evoluta, particolarmente negli ultimi secoli, dalla Rivoluzione Industriale in poi. Vi è cibo dappertutto nella società occidentale, grazie a questa evoluzione. Ma il nostro cervello non ha seguito la rapidità dell’evoluzione. Le evoluzioni biologiche sono molto lente, richiedono migliaia, milioni di anni. Il nostro cervello è ancora quello dei nostri progenitori della preistoria. Quando vivevano nelle caverne, i nostri avi tutte le mattine dovevano uscire dalle caverne e cominciare a correre. E’ il motivo per cui abbiamo lunghe gambe, siamo fatti per correre; e per correre alla ricerca di cibo. Quando lo trovavano in grande quantità, ne mangiavano copiosamente e così, attraverso le molecole ingerite, mandavano il segnale ai centri di regolazione del metabolismo che risiedono nel nostro cervello, nella parte inferiore del nostro cervello chiamata ipotalamo, che vi era cibo in quantità. Il segnale veniva codificato, come tutt’ora avviene, come un segnale di abbondanza che faceva attivare il metabolismo in senso espulsivo. Si eliminavano tutte le molecole in eccesso. Se viceversa non trovavano cibo in abbondanza, ma poche bacche, mangiavano quel poco e le scarse molecole arrivate all’ipotalamo davano un segnale di carestia. Il cervello automaticamente reagiva e tutt’ora reagisce alla carestia, accumulando cibo nei fianchi. Come dire: “siccome devo mantenerti in vita e attraverso il cibo fornire l’energia agli organi vitali che ti tengono in vita, cioè cuore e polmoni, non utilizzo e non elimino il poco cibo, ma lo accumulo, perché se anche nei prossimi giorni non ne troviamo, potrò utilizzare le riserve.”. L’obiettivo prioritario era tenersi in vita, garantendo la sopravvivenza della specie. Quando noi restringiamo ai pasti, il cervello avverte attraverso la chimica delle molecole una situazione simile alla carestia della preistoria e reagisce accumulando cibo nei fianchi perché ritiene a rischio la sopravvivenza dell’organismo. Il cervello umano nel metabolismo non vede attraverso gli occhi gli innumerevoli supermercati di cui siamo circondati, ma decodifica attraverso le molecole, “vede” attraverso la chimica. In situazione di carestia oltretutto è disposto a sacrificare gli organi meno importanti nell’immediato per la sopravvivenza, come i muscoli, a favore degli organi più importanti nel breve per la sopravvivenza, il cuore ed i polmoni, per cui quando siamo a dieta perdiamo peso soprattutto attraverso la massa muscolare e quando passiamo al mantenimento aumentiamo la massa grassa che è esattamente il contrario di quello che vorrebbe la persona a dieta.

 

La Caloria

Per dare l’idea di come siano antiquate e controproducenti le comuni nozioni sull’alimentazione facciamo alcune considerazioni sull’unità di misura degli alimenti che è la caloria. E’ un sistema di misurazione obsoleto risalente all’ottocento. A quando cioè si sono cominciati ad usare nella società industriale, nelle fabbriche e nella locomozione i carburanti, cioè gli idrocarburi. Per quantificare il loro rendimento si bruciavano e si vedeva quante calorie, cioè quanto calore producevano. Si bruciava un litro di benzina e si contavano le calorie prodotte. Il concetto è stato trasferito al cibo. Si brucia un etto di pasta e si vede quante calorie produce. Si vede già da qui che il metodo non calza ed è inadeguato. Perché noi non viviamo di calore, ma di molecole. E’ possibile che un cibo produca molte calorie, ma non abbia tante molecole, mentre un cibo con poche calorie possa essere pericoloso perché fa introdurre un eccesso di molecole. L’unità di misura non è la caloria, ma la quantità e la qualità delle molecole ingerite.

 

Quando chiedere aiuto al medico o allo specialista

Tutti i disordini alimentari iniziano con la difficoltà a mantenere una condotta alimentare regolare, restringendo troppo ai pasti o mangiando fuori pasto e, almeno all’inizio, con intenzioni virtuose. Ma la mente diventa quello che fa, per cui le soluzioni disfunzionali nell’arco di poco tempo, anche solo tre mesi, possono creare una rigidità nella percezione della realtà tale da strutturare una sintomatologia, che in modo automatico, anche al di fuori della volontà e della razionalità della persona, si autoalimenta. Per cui riduzione dell’alimentazione, digiuni o abbuffate diventano irrefrenabili. Quello è il momento in cui il soggetto crea una trappola mentale da cui non può più uscire da solo e occorre che qualcuno da fuori gli indichi la via d’uscita. E’ il senso della psicoterapia breve strategica: evitare di analizzare il perché una persona si è intrappolata, ma insegnare ad uscirne velocemente. Anche perché non vi è molto tempo da perdere, specialmente in alcuni problemi come l’anoressia, dove vi è il rischio di vita, ed anche nel vomiting dove la perdita di potassio può creare problemi cardiaci seri, fino all’infarto del miocardio.

Nell’anoressia, la riduzione dell’alimentazione crea un’alterazione degli occhi che diventano delle lenti di ingrandimento, più la persona perde peso, più si vede grassa, superando l’oggettività data dalla bilancia ed inducendo ulteriori riduzioni dell’alimentazione. In questo c’è anche una spiegazione che viene dalle neuroscienze. La cellula nervosa sottoposta ad iponutrizione, tende ad amplificare i segnali ingrandendo le immagini.

Nella bulimia, il controllo sempre più rigido dell’alimentazione ai pasti, crea abbuffate irrefrenabili fuori pasto. L’abbuffata comporta mangiare tutto quello che capita a tiro, anche alimenti ancora surgelati o non cotti. L’abbuffata irrefrenabile avviene anche nel binge eating. La differenza consiste nel fatto che nella bulimia, la persona alterna restrizioni ed abbuffate irrefrenabili ed è sovrappeso, nel binge eating, l’alternanza è fra digiuni ed abbuffate e la persona è sottopeso.

Discorso a parte merita il vomiting, che è un’evoluzione dell’anoressia. La trappola scatta quando la persona scopre che vi è un sistema evoluto per perdere peso e mantenere il piacere del cibo, basta vomitarlo, per cui all’inizio vomita per poter poi mangiare. Peccato, però, che anche la cosa più ripugnante ripetuta nel tempo diventa piacevole, per cui il processo si inverte e scatta una trappola particolarmente resistente al cambiamento: la persona mangia per poi vomitare. L’intera sequenza dell’immaginare il cibo, fare l’abbuffata e immediatamente dopo vomitarla diventa una sequenza che evoca il piacere erotico. In questo caso la patomorfosi, il processo di sviluppo della malattia, supera la sapienza degli psichiatri. Infatti raramente il vomiting è descritto in questo modo nei manuali di psichiatria e non compare in questi termini nel DSM. Siamo abituati a combattere con problemi che evocano la paura, la rabbia, il dolore. Questo problema costruisce piacere e nella terapia occorre superare resistenze al cambiamento superiori rispetto a tutti gli altri problemi. Nessuno è motivato a cambiare una situazione che gli da piacere. Ma occorre farlo perché è un piacere pervertito che annulla tutti gli altri piaceri: sentimentali ed erotici innanzitutto; e perché sul medio e lungo periodo mette a rischio la funzionalità cardiaca, epatica, renale e crea deformità ossee, oltre a problemi odontoiatrici, esofagei e gastrici. Queste persone, infatti, arrivano, in casi estremi, anche a mangiare e vomitare quindici o venti volte al giorno.

 

In sintesi, nell’ambito della regolazione dell’alimentazione si propone di scegliere i cibi più buoni per la persona, e non per il dietologo o il nutrizionista  o per l’ultima dieta proposta dal settimanale femminile illustrato, e mangiarli a colazione, pranzo e cena. L’obiezione più frequente alla dieta paradossale è: “ E se io mangiassi pane e nutella tre volte al giorno, come si fa a perdere peso o a regolare l’alimentazione?”. Anche in questo caso vale la logica paradossale. Se una persona mangia lo stesso cibo per una settimana o anche più,  alla fine si satura e rinuncerà spontaneamente a quel cibo, non per costrizione, ma per saturazione, passando in seguito a cibi più consoni ad una alimentazione virtuosa. Le migliaia di casi così trattati con successo nell’ambito dei disturbi alimentari prevalenti (anoressia, bulimia, vomiting, binge eating) testimoniano della validità della dieta qui proposta.

 

Testi di riferimento

AA VV, Dieta o non dieta, Ponte alle Grazie, Milano;
Nardone, la Dieta paradossale, Ponte alle Grazie, Milano;
Ongaro, Mangia che ti passa, Pickwick